Non volevo più stare lì. L’unico pensiero era scappare via.
Lui diceva di stare ferma, di sorridere. Mi aveva fatto sedere sul cuscino lurido che aveva tolto dalla sua sedia, per stare più alta e non affondare, ma io cercavo di non appoggiare le gambe sulla sua sporcizia e mi muovevo, provando a scivolare in avanti. Pensavo che se fossi riuscita a mettere i piedi per terra forse avrei trovato il coraggio per svignarmela.
Che ridicolo! Ero stata proprio io che avevo deciso di fare quella cosa e già mi sentivo in colpa.
Io non odiavo mio padre, odiavo mia madre che gli spifferava tutto a fine giornata.
Quando lui tornava dal lavoro e l’ultima cosa che faceva prima di andare a letto era darmi un paio di ceffoni senza troppe spiegazioni. Mi sono sempre dovuta pentire amaramente della mia vanità, come se essere ragazzine debba per forza escludere di sentirsi già donne.
Anche adesso, se faccio una cosa per me, vado dal parrucchiere, mi faccio le unghie, subito dopo me ne pento. Non riesco ad essere completamente felice, mi viene da piangere. A volte mi do delle botte in testa di nascosto, col pugno chiuso. Solo così mi sembra di mandar via la rabbia che provo per me stessa.
A scuola mi infilavo la punta del compasso nelle braccia e mi graffiavo, se qualcuno faceva domande inventavo che era stato il gatto. Le mie amiche dicevano che ero pazza, ma le mie follie finivano lì. Sono sempre stata una vigliacca. Non ho mai avuto il coraggio di dire a mia madre che la odiavo. Io volevo solo essere bella e sentire qualcuno che me lo dicesse, prima che mi convincessi che non lo fossi.
I soldi li rubai dal cassetto di mamma
Ma credevo che quando avesse visto a cosa mi fossero serviti non si sarebbe arrabbiata e non lo avrebbe detto a mio padre. Mi avrebbe abbracciata e sarebbe stata orgogliosa di me. I bambini pensano in un modo diverso dagli adulti, e io ero ancora convinta che quella fosse la vita reale, che in ogni famiglia le cose accadessero in quel modo. E invece, evidentemente, mi sbagliavo.
Lui stava seduto tra la baracca del tiro a segno e la signora che vendeva lo zucchero filato e i brigidini. Accanto a lui aveva un cavalletto con dei fogli appoggiati sopra. Faceva i ritratti delle persone in dieci minuti. Io ci avevo pensato tutto l’anno a farmi fare il ritratto, da quando ero stata lì alla fiera con mia madre l’estate prima e lei aveva detto “Guarda che bravo il signore che disegna quel bambino”.
Io gli dissi che volevo il ritratto. Lui prese subito i soldi, mise il suo cuscino lercio sulla sedia, mi disse di sedere, di stare ferma e di sorridere. Mi disse “Vedrai, sarai bellissima”.
Quando tornai a casa, col rotolo di carta stretto nella mano, di fronte al portone, le gambe mi tremavano. Mi domandavo se mai sarei stata bella come la bambina del ritratto.
Milena Martin per Redazione VediamociChiara riproduzione © riservata