Un angelo in fuga

Un angelo in fuga

Quando i Take That si sciolsero fu terribile, una tragedia.

Pianti disperati e voglia di morire. Dio mio! Eravamo delle ragazzine stupide, innamorate di pezzi di carta attaccati alle pareti. Non mangiavo, non uscivo di casa. Poi mia madre strappò tutti i poster per costringermi a reagire a quella disperazione folle. La odiai. Come faceva a non capire la mia sofferenza? Avevo pianificato di scappare di casa. Ma volevo che anche lei cominciasse ad odiarmi, così sarebbe stata lei a dirmi di andarmene di casa. Pensa tu che contorsione mentale. Allora iniziai a non studiare, a fare scemenze, fumavo nei bagni della scuola, ero strafottente, provocavo i professori, alle volte dormivo fuori casa senza avvertire.

Non so se mi mancasse papà, in realtà era morto troppo presto perché potessi sentire la sua mancanza. Credo che sentissi la mancanza della figura paterna, ma non è che ne fossi cosciente, capisci? Ero praticamente una bambina. Quando vedevo la pena negli occhi della gente mi faceva rabbia, perché non volevo che provassero pietà per me. Fa così perché non ha il papà, poverina. Ma che c’entrava? Niente. Alle volte ho anche finto di piangere la morte di mio padre per poter scappare dai guai in cui mi ero infilata. Ero in guerra contro tutto e contro tutti, ecco. E non è che fossi molto diversa da altre mie amiche che il papà ce l’avevano.

E poi successe che Robbie Williams riapparve cantando “Angels” e fu come un’esplosione, una liberazione. Io ero sicura che l’avesse scritta per me. Lui nel video bacia una ragazza sulla spiaggia mentre un elicottero sorvola le loro teste. E quella ragazza ero io, “Io sento che l’amore è morto, ed invece mi sto innamorando di un angelo”. Oddio, avrò messo quella canzone e cantato a squarciagola un miliardo di volte. I vicini non mi sopportavano più, ma chi se ne fregava.

Mi sentivo così grande, l’unica anima ad aver compreso come gira il mondo e per questo addolorata per la sua finitezza. E lui, Robbie, cantava esattamente i miei sentimenti. Pensa te che stupidaggine.

E a ripensarci è ridicolo, ma la mia adolescenza è stata praticamente questa: scemenze, passioni folli, piani di fuga mai realizzati e una stupida canzone melensa messa in loop per giorni e giorni.

Poi mamma si è ammalata ed è come se fosse arrivato improvvisamente il silenzio nella nostra vita. Finestre chiuse, niente più musica, niente più pazzie. La paura di rimanere da sola.

Io non so se accudirla per tutti questi anni sia stata una mia scelta. Molte volte mi sono ripetuta che non avessi altra scelta, questo sì. E, se ci pensi bene, non è la stessa cosa.

Adesso non ho più paura. La mia solitudine non mi spaventa più come prima. È andata così.

Ma quando tutto è un po’ più difficile, chiudo gli occhi e scappo, come volevo fare da ragazzina, e vado a trovare Robbie su quella spiaggia deserta.

Milena Martin per Redazione VediamociChiara © riproduzione riservata

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