La Medicina è la Scienza dell’Incertezza?
Secondo Sir William Osler, illustre medico e accademico canadese, tra i fondatori del Johns Hopkins Hospital, “La medicina è la scienza dell’incertezza e l’arte delle probabilità”. Una definizione tuttora valida, ça va sans dire, benché il bombardamento mediatico faccia supporre che i progressi dell’alta tecnologia nella diagnostica e nella genomica abbiano già fornito tutte le risposte ai quesiti clinici. E se l’autorità del professionista sanitario si fonda in parte, anche sulla pretesa di un accesso esclusivo al sapere medico e a competenze di alto livello precluse alla maggioranza della popolazione, questo non significa che il clinico abbia sempre tutte le risposte necessarie alla risoluzione di quesiti diagnostici e casi complessi.
Il sapere medico è un’evoluzione e una rivoluzione continua
La conoscenza biomedica, come tutte le scienze sperimentali, è un succedersi continuo di nuove acquisizioni, di certezze consolidate e di verità che sembravano indiscusse, ma che poi vengono superate, per far posto alle più recenti evidenze, ai nuovi paradigmi. Non è facile accettare l’esistenza delle cosiddette aree grigie, ossia ambiti in cui non c’è un’evidenza robusta sull’efficacia di un intervento diagnostico-terapeutico e delle sue alternative. Fare i conti con l’incertezza è una sfida per il medico, che deve disporre di risorse e metodologie consolidate, per superare lo stallo decisionale a cui può condurre l’assenza di evidenze forti su cui basare la decisione.
Non avere evidenze significa non potere decidere?
Assolutamente no. Secondo i principi del movimento culturale della Evidence Based Medicine (EBM) schematizzati dal GIMBE (Gruppo Italiano di Medicina Basata sulle Evidenze), le decisioni cliniche vanno fondate “sulle migliori evidenze disponibili e non sulle migliori evidenze possibili, che in alcune aree della medicina – per motivi etici, economici o metodologici – potrebbero non essere mai disponibili”. Insomma, è impossibile accedere a tutta la conoscenza necessaria a risolvere un quesito sanitario, perché a volte, semplicemente, quella conoscenza non c’è o non è ancora stata acquisita. Ma le evidenze disponibili e le valutazioni sul caso specifico, le sue peculiarità e i bisogni della persona in cura possono indirizzare il medico verso la scelta più idonea e a misura dei bisogni della persona in cura. Il limite dell’incertezza viene superato grazie alla scientifica valutazione del quadro clinico, a competenze e conoscenze rigorose e last but not least, a una funzionale comunicazione medico-paziente. “Sotto molti aspetti, il compito primario di comunicazione dei clinici è la gestione dell’incertezza” scrivono AK Smith et al in un articolo sul New England Journal of Medicine, che sottolinea i benefici di una comunicazione onesta tra curato e curante, che consenta al primo di comprendere e accettare i limiti imposti dalle insufficienti conoscenze, dai calcoli probabilistici e dall’impossibilità di avere dati adeguati e incontrovertibili su cui fondare per esempio, una diagnosi o una valutazione prognostica.
Certezze e incertezze della medicina – se lo dice il prof. Coen, c’è da crederci!
Daniele Coen, rinomato medico d’urgenza e autore di “L’arte della probabilità. Certezze e incertezze della medicina”, pone l’accento sulla difficoltà ad accettare l’incertezza da parte di chi si affida alle cure mediche e lo fa raccontando il dilemma rappresentato dal dolore addominale. Si tratta di una delle motivazioni più frequenti di accesso al Pronto Soccorso. Nella gran parte dei casi, fortunatamente, i pazienti tornano a casa con una diagnosi di “dolore aspecifico”. Un verdetto che, di solito, lascia insoddisfatti i pazienti, una non-diagnosi che porta a dubitare delle competenze del medico e della sua capacità di indagare a fondo. Eppure, i dati dicono che solo pochi pazienti richiedono nuovamente le cure del PS dopo la dimissione. Dunque, la non-diagnosi in genere, ha una ragion d’essere. Ma affinché quella ragione sia compresa dal diretto interessato, senza intaccare il rapporto di fiducia con il curante, è necessario che l’incertezza che è alla base della decisione medica sia snocciolata e condivisa con chi viene curato. Quando il sapere non basta e il saper fare non è concludente, è necessario fare ricorso al saper-essere, che chiama in causa competenze relazionali, sociali e integra conoscenze e abilità.
Dott.ssa Serenella Corvo per Redazione VediamociChiara
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Fonti
William Bennett Bean. Sir William Osler: Aphorisms from His Bedside Teachings and Writings. British Journal for the Philosophy of Science 5 (18):172-173 (1954).
Smith AK, White DB, Arnold RM. Uncertainty: The Other Side of Prognosis. N Engl J Med. 2013 Jun 27; 368(26): 2448–2450.
Kangmoon K, Young-Mee L. Understanding uncertainty in medicine: concepts and implications in medical education. Korean J Med Educ. 2018 Sep; 30(3): 181–188.
GIMBE. Conoscere l’EBM
Coen D. L’arte della probabilità. Certezze e incertezze della medicina. Raffaello Cortina Editore, 2021.
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Take Home Message – Dubito Ergo Curo
La medicina è una scienza sperimentale, non fondata sulle certezze della matematica, ma piuttosto su analisi statistiche ed epidemiologiche. È anche una scienza in continuo divenire, in cui le certezze di ieri, divengono obsolete dopodomani, ma tra passi in avanti e marce indietro, la medicina evolve sempre verso un sapere più ampio, complesso e interconnesso. Ma la conoscenza medica, è ovvio, ha i suoi limiti e in ogni fase storica, esistono le aree di incertezza, ambiti in cui non c’è un’evidenza robusta sull’efficacia di un intervento diagnostico-terapeutico e delle sue alternative. Fare i conti con l’incertezza è una sfida per il curante e per il curato. E per gestire l’incertezza, servono il sapere, il saper fare e il saper essere, che significa anche saper comunicare l’assenza di certezze.
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