Oggi mi sono immersa in mare per la prima volta.
Avrei potuto farlo già la settimana scorsa, quando sono arrivata, ma ho avuto problemi di iperventilazione e la guida mi ha sconsigliato di immergermi. Ero in panico. Avevo indossato la muta, e stavo sistemando le bombole dopo aver controllato il respiratore, tutte manovre di routine che ho imparato al corso. Ma poi mi sono guardata intorno, le persone del mio gruppo ridendo, impazienti di tuffarsi, ha iniziato a mancarmi l’aria, respiravo velocemente e non ce l’ho fatta. Probabilmente l’ansia accumulata durante il viaggio, la stanchezza. Dovevo dare retta all’istruttore che mi aveva consigliato di riposare alcuni giorni, prima di tuffarmi. Ma non sono mai riuscita a pensare a questo viaggio come una vacanza. Volevo vedere subito, ho aspettato questo momento per troppo tempo. Questo posto è così diverso da come me lo immaginavo, in verità un po’ squallido, eppure lui lo amava.
Io non sapevo nuotare, ho dovuto imparare. Sei mesi in piscina, vicino casa. E per una donna della mia età ti sembra semplice? Il terrore di affogare ogni volta. Andavo due volte a settimana, di nascosto, non volevo che mio marito lo sapesse. Poi, quando ho iniziato il corso di immersione, gliel’ho dovuto dire, e abbiamo ricominciato tutto daccapo, perché è inutile fingere, certe cose non si superano. Non è più lo stesso, stiamo in silenzio la maggior parte del tempo, facendo a cazzotti ognuno coi suoi sensi di colpa, e poi esplodiamo. Io voglio trovare pace, lui ha deciso di corrodersi dentro.
Io mi sono sentita in colpa per molto tempo, perché non ho mai capito la passione di mio figlio, perché invece di chiedergli che cosa provasse, di raccontarmi, gli dicevo che era pericoloso, che avevo paura, che era meglio che non mi dicesse nulla. Quando ci hanno avvertito dell’incidente, mi sono sentita la madre peggiore del mondo, perché oltre ad aver perso il mio bambino, mi accorsi di aver perso la possibilità di condividere la sua felicità.
Al corso di immersione ero la più vecchia, ma mi hanno aiutato tutti. Cinque settimane imparando le terminologie di immersione, a familiarizzare con l’attrezzatura, studiare le procedure di emergenza. E poi in acqua per padroneggiare l’uso dell’erogatore, della maschera. Per me la cosa più difficile è stata controllare l’assetto, col peso delle bombole, la spinta con le pinne. Ho pensato di rinunciare tante volte. Ma alla fine ce l’ho fatta, ho comprato il biglietto e sono partita. Mio marito mi ha accompagnata all’aeroporto e abbiamo pianto.
Volevo vedere perché nostro figlio amava tanto questo posto. Mi diceva che è come visitare un altro mondo, che aveva visto cose che prima non sarebbe stato in grado nemmeno di immaginare.
Così oggi mi sono seduta sul bordo della barca, ho chiuso gli occhi, e mi sono lasciata andare sapendo che lui sarebbe stato laggiù ad aspettarmi.
Milena Martin per Redazione VediamociChiara © riproduzione riservata