La mattina è una corsa.
Preparo il loro lunch. Li sveglio. Li vesto. Sistemo i capelli di lei. Bevono un po’ di latte, controvoglia. Prima di uscire c’è sempre qualche problema coi calzini e le scarpe. Allora mi innervosisco perché siamo in ritardo e saliamo in macchina quasi sempre di malumore.
Per andare sfiliamo sotto un albero cresciuto al bordo della strada. La chioma ha una grande scanalatura ad angolo retto. Si è adattato alla forma dei rimorchi dei camion che passando gli hanno spezzato rami e foglie. Accelero.
Devo lasciare la bambina a scuola entro le sette e un quarto, non un minuto più tardi. Entra sempre col muso lungo, poverina. Ha sonno, trascina i piedi e nemmeno si gira quando le urlo dal finestrino che l’amo.
Se sgarro anche solo di un minuto, al semaforo dell’incrocio scatta il rosso e sullo stradone, nel frattempo, si forma la fila. Questione di secondi.
Se siamo in anticipo o spacchiamo il minuto, allora riesco a passare col verde, o anche con l’arancione, schiacciando sul pedale. Attraverso l’incrocio svoltando a sinistra e la strada, fino alla rotonda, è libera, al massimo incontro una lumaca che riesco a superare zigzagando.
Se mi fermo al rosso, invece, sono fregata. Devo consegnare il più piccolo all’asilo nido non più tardi delle sette e mezzo e se rimango imbottigliata è un’impresa impossibile.
In genere sono fortunata, arrivo sul filo di lana e, praticamente, lo butto dentro lanciandolo dal finestrino.
Per due volte, quest’anno, ho trovato il cancello sbarrato. Ho dovuto suonare, firmare una giustificazione, alla terza fissano un orario per fare “una chiacchierata”. È la volta buona che mando tutti a quel paese.
Lo guardo entrare, col suo zainetto sulle spalle. La maestra lo accoglie all’entrata e lui, all’ultimo, si gira e mi saluta con la mano. Mi fa commuovere sempre. Una volta sono montata svelta in macchina e ho pianto.
Me lo sono chiesta più volte. Possibile che sono solo io la ritardataria disorganizzata? Finché non ho scoperto il suo segreto. Se lui fa tardi lo porta da sua madre e poi va a lavorare.
Io non ho nessuno, devo lasciarli tutti e due a scuola e correre in ufficio.
Il martedì e il mercoledì stanno con me. Giovedì e venerdì con lui. Fine settimana e lunedì facciamo alternato. Ci è sembrata la soluzione migliore. I bambini hanno accettato di buon grado, ma si vede che non sono più gli stessi, fanno tutto con più lentezza, come se l’aria intorno a loro sia più pesante. Lui dice che sono paranoica, i bambini stanno benissimo.
Come sempre, per andare in ufficio dopo averli lasciati a scuola, passo nuovamente sotto quell’albero. Ricordo ancora il giorno in cui decisi che non volevo più che qualcuno spezzasse i miei rami, che non volevo più adattarmi ad una vita che stavo detestando.
Di fronte a me c’è una lumaca, se accelero e la supero zigzagando arrivo in ufficio in orario. Scalo la marcia, un colpetto di clacson e vado.
Milena Martin per Redazione VediamociChiara
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