Piccole molecole, grandi cambiamenti: come i nuovi farmaci per l’obesità stanno riscrivendo la storia della malattia
Oggi parliamo dei nuovi farmaci per l’obesità un tema sempre più attuale perché la nostra è un’epoca dominata dalle cronicità e tra queste l’obesità. Viviamo più a lungo e possiamo curare, a volte addirittura guarire, malattie che un tempo non lasciavano scampo. Ma il prezzo che paghiamo è alto, in termini individuali e come collettività: l’incidenza complessiva delle malattie croniche è una minaccia sotto la quale i fragili servizi sanitari del mondo avanzato possono collassare. Non stupisce dunque che l’attenzione, oltre che sulla incessante ricerca di terapie risolutive, sia sempre più focalizzata sulla prevenzione e sull’adozione di stili di vita virtuosi.
La gestione dell’obesità, una cronicità che si trascina dietro molte altre pericolose e costose patologie, ha negli ultimissimi anni subito una rivoluzione. Il riposizionamento di alcuni farmaci già approvati per il trattamento del diabete ha modificato radicalmente la visione della malattia e le prospettive dei pazienti.
Con il Presidente della Società Italiana dell’Obesità Silvio Buscemi, ordinario di Nutrizione Clinica e Direttore della Scuola di specializzazione in Scienza dell’Alimentazione presso l’Università di Palermo, abbiamo approfondito gli aspetti più sorprendenti di questa categoria di medicinali e quelli più critici legati al loro impiego.
Presidente, siamo assistendo ad una rivoluzione nel trattamento dell’obesità, ma semaglutide e tutti i farmaci della sua categoria, i cosiddetti agonisti GLP-1, non sono nati con questa indicazione terapeutica. Quali sono le indicazioni per i quali sono stati originariamente approvati e quali le indicazioni estese di oggi?
Vede, non è la prima volta che accade nella storia della medicina che un farmaco nasce per uno scopo e poi finisce per rispondere ad altre esigenze, ma questo è un caso paradigmatico. In realtà, il farmaco che lei cita è stato dapprima sperimentato per il trattamento del diabete e continua ad essere un antidiabetico. Nel corso degli anni, si è però osservato che le persone che lo assumevano perdevano peso: da qui, si è via via fatta largo l’idea di utilizzarlo nel trattamento dell’obesità.
Oggi, i medicinali di questa categoria sono usati sia per l’obesità che per il diabete. Ma l’aspetto più sorprendente è che essi continuano a svelarci altre proprietà terapeutiche, per cui non è da escludere che in futuro possano trovare impiego anche in altre condizioni cliniche, come la steatosi epatica e l’artrosi del ginocchio. In questo secondo caso, l’effetto è dovuto alla perdita di peso, e quindi alla riduzione delle sollecitazioni meccaniche sull’articolazione, ma anche ad uno specifico meccanismo antinfiammatorio.
Questi farmaci sembrano agire anche sulla malattia psoriasica e stanno emergendo evidenze sempre più solide di un possibile impiego nel trattamento del decadimento cognitivo e della malattia di Alzheimer. Le ricerche effettuate sembrano svelare anche importanti effetti protettivi sul sistema cardiovascolare. A questo proposito, ricordo lo studio Select, durato oltre 4 anni, che ha utilizzato semaglutide in persone che avevano avuto un infarto o un ictus: durante il trattamento, indipendentemente dalla riduzione del peso, questi farmaci hanno ridotto del 20% il rischio di morte per malattia cardiovascolare e di un secondo evento acuto.
Una vera e propria rivoluzione! L’ultimo nato di questa categoria, in commercio da ottobre, è la tirzepatide, che non agisce soltanto sul recettore del GLP-1 (ovvero il peptide glucagone-simile di tipo 1), ma anche sul recettore di un altro ormone che produciamo e che si chiama GIP (polipeptide insulinotropico glucosio-dipendente): si tratta, cioè, di un doppio agonista. Tirzepatide ha avuto un destino inverso rispetto a semaglutide, essendo nata per il trattamento dell’obesità e successivamente impiegata per il diabete.
Tra i nuovi farmaci per l’obesità, quali sono gli agonisti GLP-1 oggi disponibili?
Oggi abbiamo a disposizione diversi composti. Siamo partiti da liraglutide per arrivare ad una sua evoluzione, semaglutide, e poi ad un terzo prodotto, tirzepatide. Progressivamente, si è verificata un’evoluzione delle performance di questi farmaci. Una curiosità. Semaglutide viene assunto per via sottocutanea settimanalmente, non giornalmente come liraglutide.
Nella sua formulazione in compresse, più usata nel trattamento del diabete, ha invece un impiego giornaliero. Si pensava che il vantaggio di semaglutide fosse proprio quello di poterlo prendere una volta a settimana e non tutti i giorni, ma l’utilizzo ha mostrato come, malgrado la somiglianza strutturale con liraglutide, esso abbia effetti sul peso corporeo notevolmente superiori a quelli del suo predecessore. Un esempio di come, a volte, piccoli cambiamenti strutturali possono portare a modifiche più rilevanti negli effetti.
Come già accennato, mentre liraglutide e semaglutide sono agonisti del GLP-1, tirzepatide è in grado di interagire anche con un altro recettore, quello per il GIP. Le molecole del futuro saranno ancora più complesse: andiamo verso lo sviluppo di triagonisti, cioè sostanze in grado di agire con tre recettori diversi contemporaneamente. È un mondo che si è appena aperto, che potremmo definire “di frontiera”, quello del trattamento dell’obesità, che poi è la vera malattia. E proprio perché è una malattia usiamo farmaci per l’obesità.
Se la curiamo, possiamo prevenire tutta una serie di altre condizioni, come il diabete, l’ipertensione, le patologie cardiovascolari, alcune forme di tumore. Ma anche migliorare la qualità di vita che, quando scarsa, contribuisce a compromettere lo stato di salute e benessere. Dopo più di un secolo di attesa, abbiamo finalmente strumenti importanti: si tratta di un momento epocale della medicina.
Presidente, lei accennava all’obesità come fonte di una serie di malattie legate più o meno direttamente al metabolismo e come target di una cura realmente efficace: quali risultati permettono di ottenere, in termini di perdita di peso, questi farmaci per l’obesità?
Vorrei precisare un concetto basilare: non c’è obesità se c’è equilibrio del bilancio energetico nel tempo. Essa subentra quando cronicamente l’energia che introduciamo con il cibo supera quella che spendiamo, ad esempio, per muoverci, respirare, far battere il nostro cuore, camminare, etc. È pur vero che ci sono delle persone cosiddette “risparmiatrici”, cioè che hanno una spesa energetica costituzionalmente un pochino più bassa della media, ma in generale vale il concetto che, se riuscissimo a bruciare più energia di quanta ne apporta la nostra dieta, il problema sarebbe risolto.
Anche se detto così sembra facile, in realtà i meccanismi che ci portano al consumo di cibo e al risparmio di energia e le questioni socio-ambientali che ci spingono a seguire determinati stili di vita sono complessi e concorrono nello sviluppo della malattia, tant’è che noi oggi parliamo di epidemia dell’obesità. Solo in Italia almeno 6 milioni di persone hanno questo problema. Come funzionano questi farmaci? Ci aiutano a controllare la fame e il senso di sazietà. Anche se sappiamo che per perdere peso dobbiamo mangiare meno e muoverci di più, in certi casi non riusciamo a farlo perché i centri nervosi che controllano la fame e la sazietà non funzionano in sinergia con la volontà. Si tratta di sistemi complessi che nei milioni di anni di storia che hanno preceduto l’epoca moderna ci hanno protetto.
La nostra specie è sopravvissuta grazie ad una propensione verso il consumo di cibo, fondamentale per la sua stessa perpetuazione. Immaginiamo i nostri antenati nelle caverne, che vivevano in condizioni climatiche e ambientali ostili e dovevano affrontare prede animali talvolta feroci, rischiando la vita. Se non ci fosse stata una forte propensione verso il consumo di cibo, probabilmente ci saremmo estinti. Tuttavia, oggi viviamo in un contesto ambientale e sociale totalmente diverso e questa pulsione è diventata un problema da gestire. Da ciò nasce la diffusione dell’obesità, causa di tante altre problematiche, in primis diabete e malattie cardiovascolari ed è per questo che dobbiamo gestire la malattia con dei farmaci per l’obesità.
In questo contesto, quanto questi farmaci per l’obesità ci aiutano?
Vi è almeno un 30% di persone obese in grado di perdere peso con un trattamento appropriato, personalizzato e correttamente seguito. Oggi abbiamo superato l’assegnazione della classica dieta universalmente valida e sappiamo che l’approccio medico a questa patologia deve essere più coinvolgente e multidisciplinare, deve puntare a ottenere risultati concreti che si fondino anche sul potenziamento di fattori un tempo sottovalutati, dall’autostima alla consapevolezza. Malgrado l’affinamento delle strategie, però, alcune persone non riescono ad aderire al trattamento. È qui che vengono in aiuto i farmaci. Il loro ruolo è quello di aiutare a seguire la dieta le persone che da sole non ce la fanno, non sono progettati per essere assunti indipendentemente dal regime alimentare seguito: un concetto che deve essere chiaro.
Oltre a ciò, questi medicinali hanno anche effetti antinfiammatori, alla base della protezione cardiovascolare, renale ed epatica, ad esempio; ma si tratta di effetti ancillari. In generale, sono farmaci sicuri, che conosciamo relativamente bene perché sono ormai da tanti anni in sperimentazione e che in modo concreto aiutano a perdere significativamente peso con risultati comparabili a quello che abbiamo considerato il riferimento per ottenere un dimagramento stabile, e cioè la chirurgia bariatrica. Oggi molto spesso riusciamo ad ottenere con una cura farmacologica risultati che qualche anno fa erano ottenibili solo con la chirurgia. Bene, sia il farmaco che l’intervento chirurgico sono efficaci solo se affiancati ad una dieta appropriata.
Per i farmaci, il regime alimentare è anche il presupposto per ridurre alcune reazioni avverse, in particolare gastrointestinali (nausea, stipsi, diarrea). Quindi è importante che la terapia sia affidata a professionisti in grado di prescriverli e anche di monitorare adeguatamente il paziente nel tempo.
Dunque, l’introduzione di questi nuovi strumenti terapeutici non riduce l’importanza del controllo degli stili di vita…
Il farmaco funziona perché ci aiuta a adottare un corretto stile di vita: questa è la base. È, d’altra parte, impensabile che si possa prescriverlo a tutte le persone con indice di massa corporea (il parametro più utilizzato per la diagnosi di sovrappeso e obesità) superiore ai livelli considerati fisiologici. Al momento, con esso riusciamo a risolvere il problema nelle persone per cui fino a qualche anno fa dovevamo arrenderci, e questa è già una grande conquista. Ma l’obesità è una malattia cronica: la controlliamo fino a quando la curiamo e, nel momento in cui abbandoniamo la cura, ecco che il problema ritorna. Non possiamo quindi pensare di ottenere risultati duraturi con una cura di qualche mese, ma dobbiamo immaginare un utilizzo cronico.
Questi nuovi farmaci sono sicuri anche nell’assunzione a lungo termine?
Gli studi a riguardo si sono protratti fino a oltre 4 anni e ci hanno documentato la sicurezza di questo tipo di farmaci per l’obesità. Ad oggi, sappiamo di avere a disposizione una soluzione sicura ed efficace. È anche vero che si tratta di farmaci, prodotti che inevitabilmente che non vanno utilizzati a scopo cosmetico. Questi strumenti devono essere impiegati laddove il rapporto beneficio/rischio è vantaggioso. Curando l’obesità agisco su una serie di fattori contrari a uno stato di buona salute: posso prevenire il diabete ed altre condizioni che deteriorerebbero la salute del paziente.
Se uso il farmaco nel paziente con obesità, ecco che il rapporto beneficio/rischio diventa molto favorevole. Il rapporto costo/beneficio, invece, ancora non è pienamente soddisfatto. Sono terapie costose, anche perché croniche, che ad oggi per il trattamento dell’obesità non vengono rimborsate da parte del servizio sanitario. Il costo rappresenta un’importante barriera che potrebbe essere causa di disuguaglianze nell’accesso alla cura. Su questo punto è molto impegnata la Società Italiana dell’Obesità (SIO), insieme ad altre società scientifiche e associazioni dei pazienti. È oggi in atto un movimento mirato a far comprendere ai decisori politici che curare l’obesità in molti casi è conveniente. Le faccio un esempio paradigmatico.
Una delle complicanze di questa patologia è la sindrome delle apnee ostruttive, una condizione estremamente invalidante che compromette la qualità di vita, amplifica il rischio di diabete ed eventi cardiovascolari e impegna significativamente il sistema sanitario con costi prevenibili attraverso la cura dell’obesità. Lo stesso accade per il diabete, che si può prevenire nel 70% dei casi con il trattamento farmacologico, e per altre condizioni come ictus e tumori. I tempi sono forse un po’ prematuri, se consideriamo che semaglutide è in commercio da giugno dello scorso anno e tirzepatide da ottobre. Ma cominciamo a percepire una certa sensibilità su questo tema anche a livello istituzionale e da parte delle aziende, alle quali si chiedono sforzi per la riduzione dei costi. Personalmente, sono fiducioso che la direzione che si sta prendendo sia corretta.
Per quanto riguarda l’utilizzo cosmetico, questi farmaci possono dare problemi se presi al di fuori delle indicazioni?
I prodotti di cui abbiamo parlato sono farmaci. Molti pensano che, dal momento che si tratta di una sostanza che viene sintetizzata anche nel nostro organismo, allora sia di fatto innocua, ma non è così. Il nostro corpo la produce transitoriamente, quando consumiamo un pasto; rimane in circolo pochi minuti e poi viene eliminata. La terapia farmacologica, invece, comporta una sua presenza in circolo ad alti livelli per un tempo lungo. Un farmaco, questa è norma di buona pratica medica, si utilizza solo quando i vantaggi in termini di salute superano gli svantaggi. Per quanto riguarda il mito della bellezza e della forma fisica, non possiamo e non dobbiamo nasconderci dietro a un dito: si tratta di un aspetto socialmente sempre più avvertito. Se vogliamo dirla tutta, stare bene con se stessi è una condizione di base per godere di buona salute.
Allora, è evidente che la tentazione di ricorrere all’uso cosmetico di questi farmaci per l’obesità è molto forte, almeno tanto quanto lo è stato in passato per altri prodotti, in generale meno sicuri e meno efficaci, come le anfetamine. Come medico, ritengo che se una persona pensa che la propria qualità di vita dipenda da qualche chilo in meno, se non si accetta perché non risponde a determinati standard di forma fisica, allora forse varrebbe la pena di approfondire i risvolti psicologici del malessere. Queste sostanze non si prestano all’uso cosmetico ma, seppur sicure, sono soggette a continua osservazione, perché non possiamo escludere che nel futuro possano emergere aspetti che oggi non ci sono chiari.
Dott.ssa Monica Torriani farmacista per Redazione VediamociChiara ©riproduzione riservata
Take Home Message
La dott.ssa Monica Torriani intervista per noi il Presidente della Società Italiana dell’Obesità Silvio Buscemi, ordinario di Nutrizione Clinica e Direttore della Scuola di specializzazione in Scienza dell’Alimentazione presso l’Università di Palermo, sui nuovi farmaci per l’obesità come semaglutide e tirzepatide di cui si parla tanto