La terapia delle parole – Ripartire dal rapporto medico-paziente
“La speranza è un antidolorifico”.
Nel famoso giuramento di Ippocrate questo assunto non è riportato, ma oggi siamo riusciti a dimostrarlo.
Parole come analgesici
Oggi sappiamo che il cervello è capace di produrre sostanze chimiche dall’azione molto simile agli analgesici, ogni volta che la qualità della relazione medico-paziente è di qualità. Le parole in questo contesto innescano gli stessi meccanismi dei farmaci (con effetti simili a morfina e aspirina), e in questo modo si trasformano da suoni e simboli astratti, in vere e proprie armi che modificano il cervello e il corpo di chi soffre, incoraggiando il processo di guarigione.
Il segreto sta nella relazione
È questo infatti l’elemento chiave. Non parliamo di feeling ed empatia fine a se stesse, ma del fatto che la fiducia reciproca potenzia la volontà di guarire e/o agisce come antidolorifico.
Se il dialogo è basato su solide basi può essere considerato, di diritto, come parte della cura. Se questo aspetto, il dialogo, è curato, succede che il cervello inizia a produrre sostanze chimiche dall’azione molto simile agli analgesici. E il paziente inizia a stare meglio, prima ancora di iniziare la cura. Così ci riporta Fabrizio Benedetti, neurofisiologo di fama mondiale, nel suo ultimo libro “La speranza è un farmaco“).
C’è bisogno di una relazione calda, empatica. Non dettata dalla fretta. Il rapporto deve essere mirato a potenziare fiducia, aspettative e speranza. Un aspetto, quello del dialogo e dell’ascolto, nel quale il personale sanitario, soprattutto i medici, possono migliorare di tanto.
C’è da aggiungere che in questo la medicina ‘tradizionale’ può imparare molto dalla medicina alternativa. Il tempo che un medico omeopata dedica ad ascoltare il paziente è alto, pari a circa 1 ora. Nulla in confronto al tempo che il medico di famiglia dedica a noi (pochi minuti: non oltre i 10 in media).
Parole come farmaci
Le parole non sostituiscono le medicine, ma di certo ne potenziano l’azione (le parole non si possono sostituire agli anticoncezionali!). Ma, continua Benedetti:
“Se grazie a parole confortanti, si innesca un meccanismo di speranza di guarigione, il cervello comincia a produrre sostanze chimiche simili all’oppio e alla morfina e altre paragonabili alla cannabis. Un’iniezione di parole fa sentire meglio e riduce il dolore”.
E tutto questo succede perché vengono attivate le stesse vie biochimiche dei farmaci. In questo modo le aspettative di guarire sono più alte.
Parole di speranza con effetto antidolorifico
Se è vero allora che le parole mettono in azione una vera e propria farmacia interna e se hanno il potere di potenziare la volontà a guarire, è giunto allora il momento in cui le parole, parole di speranza, diventino l’ingrediente cruciale di ogni terapia, diventano parte integrante della pratica medica.
Redazione VediamociChiara
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Take Home Message
La terapia delle parole – Ripartire dal rapporto medico-paziente – La chiamano “la terapia delle parole”, le parole che il medico rivolge al paziente, all’interno di un rapporto basato sull’ascolto, capace di mettere in atto gli stessi meccanismi degli antidolorifici. Le parole quindi come strumenti capaci di innescare la volontà di guarire.
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