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27 Gennaio – Giornata della Memoria

27 Gennaio - Giornata della Memoria

Il 27 gennaio è l’occasione per ricordare.

In occasione del giornata della memoria, che cade il 27 gennaio di ogni anno, pubblichiamo, per gentile concessione dell’autrice, un brano tratto dal libro “Da Tanaquil in poi, rapida carrellata storica sulla donna in occidente” di Silvana Vitali.

Giornata della memoria – Le donne e i campi di concentramento e sterminio

In tutti i lager la vita era costantemente ritmata dall’uso della violenza. I lager erano organizzati per sfruttare, ma soprattutto distruggere le creature umane che vi venivano internate. Erano stati costruiti unicamente per creare dolore e morte. Erano il frutto della follia collettiva dei nazisti che avevano inventato e realizzato un infernale piano di distruzione di massa. La violenza era fine a se stessa, attuata per puro sadismo. Gli internati erano continuamente sottoposti ad ogni tipo di umiliazione, picchiati, torturati nei modi più crudeli, per il semplice divertimento delle SS. Lo scopo era di distruggere in loro ogni parvenza di dignità umana e ridurre i prigionieri allo stato animale, annientandone la personalità, fiaccandone lo spirito, creando in loro assuefazione alla brutalità e all’offesa, portandoli alla disperazione, facendone affiorare gli istinti peggiori e inducendoli unicamente alla ricerca spasmodica e bestiale di un qualsiasi sollievo ai loro bisogni primordiali, annullandone così lo spirito ancor prima del corpo.

L’importanza della giornata delle memoria

Pur essendo gli uomini e le donne detenuti nei campi vittime in egual misura, per comprendere la particolare condizione delle prigioniere, le varie sfaccettature della loro sofferenza e della loro percezione, è necessario prendere in considerazione lo specifico femminile: la diversa sensibilità ed educazione, la sessualità, i ruoli sociali, il modo di affrontare la separazione dai propri affetti e la perdita della propria identità, le paure e il peso delle umiliazioni sulla personalità.

Giornata della memoria – Non sono molte le testimonianze scritte delle donne riguardo al terribile vissuto nei campi, mentre quelle degli uomini sono più numerose, ma tutte, specie quelle fornite subito dopo il ritorno in patria dei sopravvissuti, furono permeate da un grande senso di pudore e da una naturale reticenza a denunciare la propria sofferenza di fronte ad una società che stentò a credere nell’Olocausto e, a volte, ancora oggi lo nega.

Giornata della memoria – Le poche testimonianze femminili (una ventina di opere su un totale di circa centocinquanta), ci descrivono e ci aiutano a capire in quale inferno la mente malata dei nazisti fu capace di far precipitare l’umanità e in quali modi diversi le donne risposero e si adattarono ad un mondo tanto ostile; come con coraggio, pur in condizioni di estrema vulnerabilità, riuscirono, comunque, a resistere. Dobbiamo tenere presente che si trattava di donne alle quali l’educazione, da millenni, aveva inculcato quale parte integrante della propria identità culturale il senso del pudore, della pulizia, dell’estetica; esseri umani la cui specificità sessuale portava, per natura, a considerare gli affetti come parte essenziale della loro esistenza.

Giornata della memoria – Queste donne, catapultate all’improvviso nella condizione di prigioniere, caricate a forza sui treni, chiuse per giorni senza cibo né acqua in vagoni blindati, stipati di umanità disperata, trasportate in luoghi dall’aspetto sinistro, inospitali, dovettero subire, innanzitutto la separazione dai padri, dai fratelli, dai mariti, dagli amici e dai figli, intuendo e temendo che non li avrebbero più rivisti. Poi, adeguarsi ad una nuova vita in cui nulla poteva più essere come prima, ridotte ad un numero tatuato su di un braccio o indicato su un cartellino senza avere più un nome, senza potersi più riconoscere nel proprio corpo, che ormai apparteneva ad altri che ne volevano la distruzione. Le figlie e le madri che erano finite insieme nello stesso campo, messe nell’impossibilità di portarsi reciprocamente aiuto; la difficoltà di poter creare un rapporto, un sentimento di solidarietà con le altre prigioniere; sopportare di essere barbaramente frugate, violentate, picchiate, divenire madri nei lager e vedersi portar via il figlio, assistere al suo assassinio nelle forme più sadiche, senza poterlo difendere o vederlo morire di stenti senza poter far nulla per salvarlo.

Essere sottoposte ad esperimenti scientifici dai quali uscire dolorosamente menomate, mutilate, sterilizzate, infettate, ferite nel corpo e nella propria dignità. La lotta, anche su se stesse, per poter mantenere integra la propria identità culturale e spirituale, resistere: sopravvivere. Resistere alla vergogna di doversi mostrare nude sotto gli sguardi beffardi, le derisioni e gli insulti degli aguzzini, restare turbate dalle nudità altrui, nel vedere i corpi delle donne anziane, malate, disfatte dalle sofferenze, spesso percossi e torturati. Dover vedere giungere il periodo delle mestruazioni, senza poter disporre nemmeno di uno straccio per raccoglierle e nasconderle, indossare le mutande ancora bagnate quando venivano lavate, non poter disporre nemmeno di un fazzoletto per soffiarsi il naso… e tanto, troppo altro ancora. Inoltre, umiliate nella propria femminilità, private dei capelli, rasate a zero, con rasoi poco affilati anche nelle parti intime, costrette ad indossare mutande maschili senza elastico che cadevano, calze che si ripiegavano sulle gambe.

L’apparato genitale femminile attirò il particolare interesse dei medici che si divertivano a fare “ricerche” su quei corpi indifesi: venivano prelevati alle giovani campioni del tessuto dell’utero per fare diagnosi tempestive sui tumori; sterilizzate le ovaie con i raggi X, o iniettato un liquido preparato ad hoc, praticata l’isterectomia. Le sperimentazioni sulle “cavie umane” erano giustificate dagli pseudo scienziati nazisti, perché quei corpi erano “di razza inferiore” e perciò venivano “utilizzati” prima dell’annientamento a cui erano destinati. Naturalmente, i loro esperimenti avvenivano in assenza o insufficienza di anestesia: le grida di dolore delle vittime eccitavano il loro sadismo.

Ad Auschwitz il prof. Clauberg inventò un suo metodo di sterilizzazione, senza dover ricorrere alla chirurgia: in sede di un’apparentemente innocua visita ginecologica, veniva applicata una spruzzatina di un certo liquido sul collo dell’utero (forse nitrato d’argento insieme ad una sostanza radiologica di contrasto). Poi, veniva praticata una radiografia. Le donne sottoposte a tale trattamento erano colpite subito da dolori intensissimi ed emorragie diffuse. Era loro imposto, sotto la minaccia di morte immediata, di non urlare o lamentarsi, di scendere dal lettino dove era stato praticato il trattamento, uscire cantando dalla baracca e camminare diritte e di non riferire nulla alle compagne. Inoltre, pur sanguinando, queste donne erano costrette a presentarsi agli appelli, che avvenivano due volte al giorno e che duravano dalle due alle tre ore, obbligate a restare in piedi. Molte morivano di sfinimento e finivano nei forni crematori. Tale trattamento, per raggiungere efficacia totale, doveva essere ripetuto tre volte. Tuttavia si rivelò un metodo di sterilizzazione che presentava importanti inconvenienti. Perciò i medici di altri campi preferivano i raggi X. Ma per assicurare una sterilizzazione che non fosse solo temporanea, le radiazioni dovevano essere piuttosto forti. Ciò provocava reazioni collaterali assai pesanti, quali: la scomparsa delle mestruazioni, ustioni cutanee, disturbi metabolici, psichici, caduta dei capelli. Naturalmente, questi effetti terribili per le vittime, non destavano alcuno scrupolo nei medici, a cui interessava solo e comunque sterilizzare le razze inferiori perché non si potessero riprodurre. Altri esperimenti venivano fatti provocando aborti a donne in avanzato stato di gravidanza; fratturando le ossa, innestando tessuti sani o infettati in zone del corpo infette o sane, per vedere l’effetto dei sulfamidici. Naturalmente, le donne che si ribellavano venivano duramente percosse o gassate.

Le donne destinate a fare da cavie, venivano designate con un numero e nome speciali. La loro baracca portava la scritta NN, sigla che in tedesco significava Nacht und Nebel: notte e nebbia. Questa sigla, segreta, compare anche nei documenti della Gestapo (la polizia nazista) e delle SS, salvati dalla distruzione per indicare le persone che dovevano essere soppresse e scomparire nel nulla e di cui nessuno avrebbe dovuto sapere più nulla. Appunto: persone da disperdere nella notte e nella nebbia.

L’alimentazione avveniva una volta al giorno, con la distribuzione, alle ore più diverse, di una immangiabile zuppa. Ad ogni cinque persone veniva data una gamella con un litro di minestra. Nessuno possedeva un cucchiaio, perciò, tutti dovevano bere dalla stessa ciotola. La minestra era disgustosa e quella destinata alle donne, contaminata con un acido sterilizzante, che provocava bruciore alle mucose della bocca e degli organi della digestione, pruriti, gonfiori, macchie rosse sulla pelle, abrasioni e la scomparsa delle mestruazioni. Quasi tutte presentavano sfoghi alla bocca, alla lingua assai dolorose. La malattia ricorrente nei lager era la dissenteria, spesso con conseguenze mortali. Molte donne rifiutavano quel cibo, cercando di alimentarsi con patate crude, che riuscivano a rubare dai carri mentre venivano trasportate nelle cucine.

Le kapò erano selezionate in base al loro curriculum delinquenziale tra le peggiori criminali, pertanto, non erano persone da avere scrupoli nell’aggredire con ferocia le prigioniere a loro sottoposte e di bastonarne a morte quelle che esitavano ad obbedire ai loro ordini.

La fantasia sadica e crudele dei nazisti per assassinare i prigionieri si era sbizzarrita, inventando i metodi più svariati: camere a gas, impiccagione lenta, strangolamento, calce viva… Così pure i metodi per torturare i prigionieri. Ne risparmio ai lettori il lungo elenco, che aggiungerebbe ancora orrore a quanto descritto sopra. Tuttavia li invito alla lettura delle testimonianze di chi, sopravvissuto, ha voluto raccontare le proprie esperienze.

Questo noi lo dobbiamo a loro, per  doveroso rispetto nei confronti di sofferenze estreme e a noi stessi, per capire. Autori come Primo Levi, Sergio Coalova, Liana Millu, Sima Vaisman, Simon Weisenthal e tanti altri, uomini e donne, hanno descritto in qualche modo la tremenda realtà nella quale furono costretti a vivere e la fatica della loro dolorosa resistenza, affinché, malgrado tutto, non si spegnesse la difficile speranza di poter tornare alla vita.

È essenziale per noi comprendere fino a che punto di alienazione collettiva può essere condotta l’umanità, quando si lascia irretire acriticamente dal fascino di un leader e, attratta da fini che allettano egoismi e passioni primordiali, ne accetta le ideologie senza permettere alla propria ragione e alla propria coscienza di porsi domande sulla sostanziale assurdità del loro contenuto e delle loro conseguenze. Questo penso sia accaduto alla maggior parte del popolo tedesco che, pur avendo secoli di civiltà e di cultura alle spalle, non ha capito che il “pifferaio”, dopo averlo ipnotizzato con il suono delle sue follie, lo avrebbe trascinato, insieme a tanti innocenti, a un’immane tragedia. E le conseguenze furono: una guerra mondiale senza paragoni nella storia per rovine, brutalità, ferocia e sangue versato.

Giornata della memoria – Il numero totale dei morti di tutti i Paesi coinvolti nel conflitto, oltrepassò i 71 milioni, di cui oltre 48 milioni e cinquecentomila furono i civili.

La cifra degli ebrei uccisi nell’Olocausto si aggira attorno ai 6 milioni.
La giornata della memoria è dedicata al loro ricordo.

Dott.ssa Silvana Vitali per Redazione VediamociChiara
© riproduzione riservata

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Giornata della memoria – pubblichiamo, per gentile concessione dell’autrice, un brano tratto dal libro “Da Tanaquil in poi, rapida carrellata storica sulla donna in occidente” di Silvana Vitali in corso di stampa.

Tempo di lettura: 3 minuti

Ultimo aggiornamento: 29 aprile 2024

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Una risposta

  1. Che cose terribili che riesce a pensare e a realizzare un essere umano. Diversi anni fa sono stata a Mauthausen e sono rimasta scioccata. Ho pianto e mi sono sentita male e appena uscita ho chiamato tutta la mia famiglia per essere sicura che stessero bene. E poi è ancora più allucinante quello che hanno fatto a noi donne, temo che nessun film, libro o spettacolo teatrale possa farci capire cosa hanno provato.

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